[22 Novembre 2200, articolo proiettato in ologramma sul numero I della testata onspace “Words of Worlds” (世界的话) diffusa in ogni lingua delle galassie e dei pianeti abitati finora scoperti.]

Anno 2200, stazione spaziale FaberFortunaeSuae situata tra le galassie, in orbita attorno al pianeta Cieco.
Un artigiano, che si era fatto ibernare nel lontanissimo 2040 insieme a due suoi amici, di recente si è svegliato.
Dopo aver contattato un conoscente scienziato che aveva condotto studi sull’ibernazione, Franco provò a fare una richiesta assurda per quel tempo: farsi ibernare per vivere nel futuro. All’epoca lui e i due amici Jepis e Davide che si imbarcarono con lui nell’impresa folle, non sapevano se si sarebbero mai risvegliati. Eppure dopo quasi 200 anni è avvenuto: qualcuno li ha ritrovati nella loro antica bottega e li ha svegliati.


Adesso, infatti, nel 2200, l’ibernazione come ben sappiamo è pratica diffusa e molte persone ai margini, che vivono disagi, che hanno perso la speranza, che hanno contratto una malattia ancora incurabile, che non ce la fanno a sostenere le sfide del nostro tempo, chiedono di poter vivere più in là, nel futuro.
Questa scelta rappresenta ancora un rischio dal punto di vista medico e scientifico, perché non si può ancora programmare l’anno in cui ci si sveglierà e non si possono prevedere danni al cervello dovuti all’ibernazione, né guerre o cataclismi che possano distruggere i corpi ibernati.
Però l’ibernazione è una strada che molti prendono in considerazione.
Ci ho pensato spesso e io non reputo né pavide né irresponsabili le persone che scelgono la via dell’ibernazione. Il giudizio che secoli fa guidava l’interpretazione di ogni scelta personale, adesso, nel nostro tempo, ha lasciato spazio alla comprensione profonda dell’altro e delle sue ragioni.
A volte chi se ne va dal proprio tempo lo fa per sé ma anche per gli altri: e se ci pensiamo bene questo accade anche per le persone che crediamo ci abbiano abbandonato. Senza di loro spesso viviamo meglio, e non ci interroghiamo quasi mai sul fatto che magari lo abbiano fatto proprio per noi, non ci chiediamo quanto questa loro scelta si sia rivelata una benedizione.
Dunque io penso che molte delle persone che scelgono l’ibernazione lo facciano perché capiscono che quello in cui stanno vivendo non è il luogo giusto per loro e che magari potrebbero rendersi più utili ed essere felici in un altro tempo, in un altro luogo nel futuro.
La felicità delle persone qui da noi, nel 2200, è prioritaria. Abbiamo da tempo abbandonato l’ideale capitalistico che vede pochi privilegiati disporre delle maggiori risorse del mondo. Ci sono voluti secoli per costruire un mondo e un universo più giusto. Siamo sulla buona strada!

Ma torniamo a Franco, Jepis e Davide, i protagonisti della nostra storia. Voglio raccontarvi la loro esperienza, il loro lavoro, come li ho incontrati, com’era la vita nel loro passato, di cosa abbiamo parlato nella stazione spaziale e cosa progettano adesso che sono finalmente nel futuro che attendevano dal 2040.
Qualche mese fa seppi del loro ritrovamento in una bottega artigiana, tra le rovine di una citta terrestre. Mi posi subito l’obiettivo di dialogare con loro per capire come vivono, che differenze notano tra il loro tempo passato e questo tempo nuovo in cui si sono risvegliati.

Ecco cosa mi hanno raccontato.
Quando sono entrata nella loro attuale bottega, suddivisa in tre spazi e con pareti trasparenti su cui sono proiettate di continuo immagini, dipinti, stralci di libri, pagine di manuali, video, lavori fatti in passato, mi sono sentita piccola piccola.
Franco, Jepis e Davide lavorano ancora in simbiosi, come nel 2040, anche se fanno mestieri diversi. Ah già, dimenticavo, un tempo si chiamavano “mestieri”, oggi come ben sappiamo parliamo invece di “arti”. Le persone una volta chiedevano “che lavoro fai?” ma quella domanda è stata sostituita adesso da “qual è la tua arte?”. L’arte ora può riguardare tutto ciò che un tempo si era soliti distinguere nettamente tra lavoro e passioni. Nel nostro tempo siamo invece tutti consapevoli dell’apporto di ciascuno, della necessità di ciascuno, dell’importanza di ognuno all’interno del contesto in cui vive. Non c’è più il lavoro inteso come quell’attività senza la quale non puoi sopravvivere, non c’è sfruttamento del lavoro manuale o dell’attività intellettuale.
Difatti chi si fa ibernare, lo fa per rendersi utile altrove. In questo tempo ci è ben chiaro che la priorità dell’uomo non è il lavoro inteso come circolazione del denaro e profitto personale ma come modo per cambiare in meglio il luogo che abitiamo e lasciare via via un luogo più giusto ed equo a chi verrà dopo di noi. Il tempo è un grande continuum e nella nostra filosofia di vita ciò che facciamo e ciò che siamo si ripercuote in tutte le dimensioni possibili del tempo. Ci chiediamo in sostanza: che universi lasceremo ai nostri figli e ai figli dei nostri figli?

I tre moschettieri del lavoro universale

Sì, dal nostro incontro li chiamo ormai “i miei tre moschettieri” anche perché appena sono entrata nella loro bottega delle arti mi hanno offerto dei favolosi nuovi biscotti creati per loro dal cuoco della stazione spaziale e che riproducono i biscotti per cui andavano pazzi nel 2040.
Franco è artista e artigiano dei tessuti. Li assembla, li modella, crea a partire dai tessuti oggetti di arredo. Il suo aiutante è un ragno di nome Filantropo in grado di tessere filati pregiati e di usare le materie di nuova generazione per creare meraviglie colorate e trame intricate. La natura è grande maestra in questo.
Jepis è l’artista della parola, racconta le storie delle civiltà che esplora nello spazio, ne apprende usi, costumi e storia. Produce dei “manufatti” in cui narra a tutte le specie le storie delle altre specie, il suo racconto abbraccia presente e passato. Nei suoi progetti c’è il viaggio nel tempo: sta approntando le ultime modifiche alla sua macchina per andare nel futuro e tornare nel presente. Il suo aiutante è un pappagallo di nome REC che lo aiuta a prendere più appunti possibili e a registrare le informazioni sulle storie che ascolta in giro per le galassie.
Davide è l’artigiano e il manutentore dei numeri e della scienza. Tutti lo chiamano “il dottore” e a lui chiedono consigli sulle arti scientifiche. Davide studia le implicazioni della genetica nelle varie popolazioni, fa esperimenti, studia come si evolvono le malattie, quali erano quelle del passato, come sono state debellate, come saranno quelle del futuro. Il suo aiutante è un gatto: dice Davide che la serendipity lo aiuta molto perché ogni volta che il gatto fa cadere qualche boccetta con all’interno dei reagenti lui puntualmente arriva, grazie a quella caduta, a formulare una scoperta nuova.

Nella loro bottega ritrovo i libri di carta, che per fortuna nel 2040 hanno avuto l’accortezza di riporre accanto ai loro corpi in apposite scatole in cartone giunte fino a noi. Incredibile come la carta sia arrivata intatta, questo per noi è un patrimonio!
Oggi nel 2200 il concetto che un tempo si definiva con il termine “lavoro”, come sapete, non esiste più. A tutti è data la possibilità di contribuire al bene comune e tutti possono esprimersi in ciò che gli riesce meglio, nel rispetto di tutti. Una volta si lavorava per guadagnare denaro con cui sopravvivere e molte persone non erano felici del proprio lavoro, eppure dovevano farlo per forza cercando di trovare il buono in esso. Qualcuno ci riusciva, qualcuno no.
Oggi tutti sono artisti, tutti sono artigiani, tutti possono fare la differenza, nessuno vuole scavalcare il prossimo o oscurarne la bravura, tutte le persone trovano la propria strada prima da apprendisti e poi girando per le galassie dove c’è bisogno di loro per migliorare la vita delle popolazioni, e di tribù anche molto diverse dalla propria.


Le domande

1) Come avete scelto quello che fate oggi?

Franco: “Nel passato da cui proveniamo si usava dire che si poteva scegliere la propria strada, se si aveva fortuna, e la parola “vocazione” era usata per definire l’istinto appunto a seguire quella strada perché era percepita come una rarità. In questo tempo nuovo la vocazione è qualcosa che tutti hanno e che tutti possono sviluppare senza catene o impedimenti, tanto che non si usa più la parola “vocazione” poiché quell’istinto non è più raro o speciale ma si definisce in maniera naturale nel corso degli eventi.
Io ho imparato la mia arte da mio padre, da piccolissimo. Lui era calzolaio, e io cominciai così: dalla riparazione delle scarpe. Ho scelto l’arte dei tessuti e degli oggetti da rivestire con quei tessuti perché in essi vedo una specie di seconda pelle. E poi mi piace vedere il sorriso sul volto delle persone quando guardano ciò che realizzo.”

Jepis: “Per me mio nonno è stato u mastru, il mio albero maestro, la mia guida, il punto di riferimento. Quando secoli fa cominciai la mia arte del racconto ero un giovane uomo pieno di luce, di speranza, di fiducia. Tutte cose che sono rimaste nel tempo. La mia famiglia è stata la mia forza, il paese da cui provengo ha fatto scattare in me la curiosità di conoscere le storie degli altri. Qualcuno mi ha definito un “megafono”, colui che amplifica e diffonde la bellezza delle storie umane. Oggi voglio raccontare non solo le storie umane, ma anche le storie di tutte le creature viventi. Sto cominciando a studiare una forma di narrazione delle piante… in questo Davide potrà aiutarmi. Vivo in questo 2200 con la mia famiglia: anche mia moglie e le mie figlie oggi sono qui con me. Loro tre sono fonte continua di ispirazione.”

Davide: “A me il mondo in cui vivevo nel 2040 non piaceva. Cercavo soluzioni ai problemi ma non facevo che rendermi conto di quanto fossi piccolo rispetto al resto. Mi sono chiesto quali alternative avessi e ho scelto di studiare biologia specializzandomi poi nel campo delle malattie. La scienza è anche artigianato, ci vuole impegno, costanza, intuito, manualità mentale nel destreggiarsi tra i dati e le evidenze empiriche. Oggi di tutto questo faccio la mia filosofia di vita: la conoscenza ci può salvare sempre.”

2) Qual è la scoperta, la storia o il prodotto più bello che avete realizzato?

Franco: “Gli oggetti più belli per me sono quelli che realizzo sovrappensiero con ciò che mi capita fra le mani. Ma anche gli oggetti per i quali invece impiego mesi. Ancora adesso, nonostante le moderne tecnologie e l’evoluzione dei metodi, ci sono lavori che richiedono più tempo di altri e non per difficoltà tecniche ma per dare a chi lo riceve quello che si aspetta davvero e di più. Per sorprenderlo. Come speravo, in questo nuovo tempo che sto vivendo tutti sono più attenti al valore del pezzo unico, quello realizzato solo per loro e non in serie. C’è attenzione al mio apporto come artista: dato che moltissime attività più ripetitive sono demandate alle nostre apparecchiature tecnologiche, ci resta tempo per godere della bellezza delle cose, della calma. C’è un rinato gusto per il pezzo realizzato con cura.”

Jepis: “Non ci sono storie che reputo più belle di altre. Per me ogni racconto di vita, ogni specie che incontro, ogni traccia del passaggio umano e non su questi universi è una goccia di infinito. Non avrò il tempo di raccontare tutto e tutti e questo è un mio cruccio. Però se mi concentro sull’aspetto più bello del mio lavoro dirò questo: la consapevolezza che le possibilità sono infinite, che non ci sono confini o colonne d’Ercole di fronte a cui fermarsi. Possiamo davvero, in ogni tempo e epoca, in ogni luogo e pianeta, raccontare una serie potenzialmente infinita di storie. Pensa che bello!”

Davide: “Mi faccio guidare dalla scienza e dai numeri. Dunque non sono io che scopro ma questi elementi a condurmi per mano. Di sicuro ciò che mi rende più felice in assoluto è riuscire a fare scoperte che aiutino a debellare per sempre certe malattie o a rendere efficaci le cure.”

3) Quali sono oggi i vostri strumenti e come li chiamavate un tempo i vostri “ferri del mestiere”?

Franco: “Il mio fidato ragno tessitore mi aiuta tantissimo. Ma ci tengo a precisare che per me lui non è uno strumento da sfruttare. Noi due riusciamo a dialogare, a comprendere le nostre lingue se così possiamo definirle. Io sono suo maestro e allievo, e così è per lui. I miei attrezzi sono molto diversi da quelli che usavo nel 2040; sono sofisticati, precisi, tecnologici, ma hanno sempre bisogno della mia mano per essere calibrati e utilizzati al meglio. Il principale ferro del mestiere dunque è la mente e chi mi aiuta nel processo creativo.”

Jepis: “Anche io, come Franco, ho un rapporto particolare con il mio pappagallo aiutante. Imparo moltissimo da lui, è la mia memoria storica e il mio correttore. Il mio fidato amico, il mio maestro. Il rapporto che ogni essere vivente ha con gli altri è di reciproco rispetto e, direi, anche riverenza e riconoscenza. Non ci sono esseri che si credono migliori o privilegiati. Io e il mio pappagallo siamo coinvolti nelle storie e nella loro narrazione. Siamo sullo stesso piano, io non sono il suo padrone e lui non detta legge su di me. Tu queste cose le sai bene ma nel nostro tempo spesso gli animali erano considerati come oggetti da compagnia.”

Davide:Serendipity è dispettoso e intelligente, come tutti i gatti. Anche io confermo che il mio rapporto con lui è fondamentale in ciò che faccio. La sua intelligenza mi aiuta a vedere cose di cui non mi ero accorto. Con i suoi occhi anche la scienza, per quanto possa sembrare strano, rivela lati nuovi che a una mente umana non arrivano.”

4) Cosa salvate del passato e come vorreste cambiare per il futuro?

Franco: “Del passato salvo la storia, senza i corsi e ricorsi storici non capiremmo come migliorare. Il futuro lo vorrei cambiare sempre in meglio: con più strumenti che migliorano la vita delle persone e più amore per la bellezza.”

Jepis: “Del passato salvo tutte le persone meravigliose che ho conosciuto, il mio paese, i paesaggi, la natura, le storie della mia famiglia. Nel futuro vorrei che ci fosse un unico grande luogo di tutti, in cui ognuno possa sentirsi accettato, compreso, aiutato. In cui le storie aiutino a vivere in maniera autentica, a ritornare sempre più all’essenziale.”

Davide: “Del passato salvo le scoperte utili che sono state fatte, anche se spesso sono state usate male. Per il futuro auspico giustizia, equità tra le persone, la possibilità per tutti di accedere a qualsiasi risorsa. Siamo davvero a buon punto e ne sono felice!”

5) Chi sono gli artigiani secondo voi?

Franco: “Nel 2040 ero scettico sul ruolo degli artigiani, avevo perso le speranze a dire il vero. Oggi mi sono ricreduto, ci si può sempre risollevare e salvare! Quindi per me gli artigiani sono quelli capaci di guardare oltre le difficoltà contingenti immaginando un futuro migliore non solo possibile ma realizzabile a partire da subito.”

Jepis: “Gli artigiani sono le radici degli alberi, le sorgenti d’acqua nel deserto. Sono quelli in grado di aiutarti a tirare fuori il meglio di te. Sono quelli disposti sempre a imparare senza sentirsi arrivati alla fine della scala di conoscenza. Se ti senti arrivato hai smesso di essere artigiano.”

Davide: “L’artigiano è chi pensa con la propria testa senza farsi manipolare. Gli artigiani sono tutti quelli che si applicano con l’obiettivo di far bene, di far del bene, di rendere il proprio passaggio nel mondo un tassello che aiuti a scoprire come migliorare la vita di tutti.”

6) Qual è stata l’ultima parola che avete sentito quando vi siete addormentati e la prima che avete sentito quando vi siete risvegliati dall’ibernazione?

Franco: “L’ultima parola che ho sentito è stata “ricordati che…” e il resto della frase non ho fatto in tempo a sentirlo. La prima parola dopo il risveglio è stata “tessuto”. Ne avevo uno tra le mani quando mi sono addormentato.”

Jepis: “L’ultima parola l’ho detta io ed è stata il saluto “A presto”. La prima dopo il risveglio è stata “suo marito”. Qualcuno parlava con mia moglie per dirle che mi ero svegliato.”

Davide: “La prima parola sentita prima del mio lungo sonno è stata “scoperte”, la TV era accesa sul TG. La prima parola del risveglio è stata, guarda caso, “serendipity”.

7) Vi ringrazio per aver risposto alle mie domande, l’intervista sta per finire ma vi voglio incontrare ancora. Come vi dovrei chiamare adesso che ci conosciamo meglio?

Franco: “Chiamaci pure artefici della nostra sorte. Mi sembra la definizione più calzante e più realistica.”

Jepis: “Sentivo che parlavi di moschettieri prima. Beh, non mi dispiacerebbe se ci chiamassi così: ho adorato il libro di Dumas! Ovvio che ci dobbiamo rincontrare, mi è venuta un’idea su una scuola da metter su qui nella stazione spaziale e vorrei che tu ne facessi parte.”

Davide: “Ci puoi chiamare con i nostri nomi, anche se qui le lingue che si parlano sono tante. Se cerchi un epiteto i moschettieri non mi dispiacciono ma anche “camaleonti” (non come una vecchia band italiana) per il nostro istinto a cambiare, a spostarci, a modellarci in base ai tempi.”

8) Ogni tanto ritornate sulla Terra?

Franco: “Ogni tanto, come facevo secoli fa, prendo la mia barchetta e vado lì a pescare. Da quando mi sono fatto ibernare sulla Terra sono cambiate tante cose. Si può dire che sia morta e rinata migliore di prima: era quello che speravo. In fondo adesso pesco per modo di dire, non faccio abboccare i pesci. Mi fermo soltanto con la barca in mezzo al mare e resto lì per qualche ora senza far niente. A pensare.”

Jepis: “Tra un’esplorazione e un viaggio nel tempo e verso agli pianeti, mi piace ritornare a #Cip, la mia terra. Caselle in Pittari, straordinariamente, è uno di quei posti rimasti intatti nonostante le distruzioni e gli sconvolgimenti che la Terra ha subìto. Ci ritorno quando voglio stendermi sulla terra in cui sono nato e sentire il contatto con il mio cordone ombelicale.”

Davide: “Torno sì, non spesso però. Ripercorro i luoghi in cui sono nato, adesso al loro posto ci sono distese di vegetazione meravigliose. Le costruzioni moderne sono concentrate solo dove serve, il resto è natura quasi totalmente incontaminata. Se non mi fossi fatto ibernare non avrei visto tutta questa meraviglia. Eppure, penso, chi non l’ha potuta vedere deve aver avuto o grande incoscienza nel non voler cambiare le cose allora o grande fiducia nel futuro.”

9) Ultima domanda (anche se vorrei continuare all’infinito): Secondo voi cos’altro c’è là fuori che ancora non conosciamo?

Franco: “C’è tutto. Tutto ciò che non abbiamo scoperto, quindi una miriade di cose, specie, lingue, mondi, pianeti, universi.”

Jepis: “Dici bene Franco. Può sembrare frustrante ma io credo che non conosceremo mai davvero tutto, però sono certo che esistano possibilità infinite e non saprei dirti cosa nello specifico può esistere. Ci può essere tutto quello che la mia mente non comprende.”

Davide: “La mente umana non è in grado di immaginare tutti i mondi e le dimensioni possibili. La verità è una chimera per noi, semplicemente perché le possibilità sono così tante che non ce la faremmo a contenerle nella nostra testa. Come dicono i miei amici, esiste ogni cosa che non abbiamo ancora conosciuto. Ah e non ti preoccupare: del resto il tempo è un concetto relativo e potremo continuare all’infinito quando vuoi.”

Jepis: “L’intervista è finita allora? Aspetta però, prima che te ne vai voglio trovare una di quelle canzoni che si ascoltavano online ai nostri tempi. Parla di moschettieri, ti piacerà. Schiaccia qui.”


Al termine dell’intervista ho salutato i miei tre moschettieri con un misto di felicità e tristezza. Mi hanno regalato un paio di libri di carta, con la promessa di darmene altri al mio ritorno, e una scatola in latta con i biscotti che mi sono piaciuti tanto. Ci siamo salutati promettendoci di restare sempre connessi e di rivederci presto in bottega tutti e quattro.
Il pappagallo REC, il ragno tessitore Filantropo e il gatto Serendipity sono stati accoccolati accanto a me per tutto il tempo dell’intervista. Ogni tanto il pappagallo ripeteva le mie parole, il ragno mi camminava in testa cercando di tessere i capelli, il gatto faceva le fusa, si strusciava o mordicchiava le mie dita. I tre animaletti hanno realizzato per me questo disegno:

Non so com’era vivere nel passato, ma una cosa è certa: questa intervista mi ha fatto venire voglia di fare ancora meglio ciò che faccio, di non stancarmi di trovare sempre il senso delle cose, di desiderare di poter viaggiare avanti e indietro nel tempo perché “casa” è un concetto vastissimo senza pareti.
La casa è la somma stessa di tutti gli universi possibili. La casa è ciò che lasceremo a chi verrà: dobbiamo essere bravi ad abitarla con rispetto, pulendoci le scarpe prima di entrare, salutando bene prima di uscire.

Dopo le suggestioni dell’intervista ho preso in mano un po’ di strumenti per disegnare che mi ha prestato Jepis e ho cominciato a buttar giù istintivamente. Ecco cosa è venuto fuori. Tre alberi vicini: i tre moschettieri. Accanto a loro io, vicina a una tenda. Me li immagino così i nostri viaggi futuri.

Questo mio esperimento narrativo è frutto della fantasia e rientra nei progetti realizzati per la Piccola Scuola Jepis Bottega. Ringrazio Giuseppe Jepis Rivello, artigiano delle parole, narratore e ideatore della piccola scuola, per averci spronato a realizzare il nostro “racconto di una persona”. Io alla fine ne ho raccontate tre e queste persone sono la summa di quelle che negli ultimi anni hanno rappresentato esempi importanti per me.
Forse questa storia diventerà anche un video, magari un disegno, magari un podcast. Di sicuro spero che il racconto continui a prendere vita, ad estendersi ed espandersi anche in altre forme.
Grazie a tutti i miei compagni di viaggio dell’esperimento narrativo.

Laura Ressa


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Immagine della farfalla: Photo by Nida Yenitepe on Unsplash
Copertina: Photo by Tony Sebastian on Unsplash

Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti