Io un giorno voglio diventare Vincenzo Moretti, l’uomo che si è regalato la grande possibilità di fare ciò che gli piace.
A voi sembrerà che parli troppo spesso di Vincenzo, e forse avete pure ragione a pensarla così. Ma i valori e le idee che condivide trovano larga sponda in me e mi sembra di avere a che fare con un fratello maggiore che, quasi al pari del maestro Yoda, mi pone di fronte alla spinta di ricercare, di spostare sempre più in là l’asticella del mio limite, dei miei “non ce la faccio”, dei miei “non ne vale la pena”. Di fronte a quella spinta non posso restare ferma, sarebbe un peccato.
Vincenzo sa riconoscere le persone, ma soprattutto ha il grande merito di non vivere di auto-referenzialità, di sentirsi sempre un allievo, e dunque il lusso che nella vita si è concesso è quello di riconoscere i meriti, e darne atto traendone insegnamento. Qualità rara, rarissima.
Forse Vincenzo è la prima persona, dopo anni di scetticismo, che mi ha fatto credere di nuovo nella possibilità che il cambiamento in meglio provenga da ognuno di noi e che nessuno può tirarsi indietro di fronte a questa forza che abbiamo.
Fino al nostro ultimo respiro, nonostante le condizioni possano sembrarci avverse, dovremo rimboccarci le maniche e provare a cambiare o a migliorare almeno quel pezzo di mondo (o di vita) di cui siamo co-protagonisti.
Tutti sono bravi a professarsi maestri di vita. Tutti sono bravi a riconoscere negli altri veri maestri solo perché si trovano di fronte personalità paternalistiche o maternalistiche.
Essere veri maestri però è molto più di questo. Quando mi sento insoddisfatta, ad esempio, penso a certe parole di Vincenzo perché mi ricordano che qualsiasi cosa io faccia ha sempre senso se è fatta bene. Sempre.
E questa percezione del far bene e del provare ad andare oltre l’asticella del limite, per me può provenire solo dall’esempio di un bravo maestro e non da semplici consigli o prontuari adattabili a chiunque.

Questo adesso non vuole essere un elogio di Vincenzo Moretti: vi voglio raccontare però quanto è bello sentirmi allieva di un modo di fare le cose che tenga davvero in conto gli altri come maestri e che ci spinga a non sentirci mai davvero arrivati.
Perché la tentazione può essere forte, quando credi di essere un passo avanti agli altri e di aver dato prova di aver raggiunto un certo status o riconoscimento sociale.
Trovare i bravi maestri allora è il nostro compito.
Chiamiamolo esercizio, un esercizio per dimenticare brutture e storture di una società troppo spesso avida di denaro e vuota di pensiero e prospettiva, o semplicemente un esercizio per provare a cambiare noi stessi. Anche partendo da un esempio vicino a noi.
Senza dare eccessivo peso al resto del mondo però, perché non sta a noi cambiare tutto il resto ma piuttosto sta a noi cambiare la nostra vita e con essa forse migliorare qualcosa del contesto in cui viviamo.

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Michele Croccia e Vincenzo Moretti: foto tratta da qui

Un giorno arriverò pure io come Vincenzo a realizzare i sogni veri, quelli che ci sono da sempre e camminano accanto a me ogni giorno. Penso che ognuno di noi lo vorrebbe.
Ma per arrivarci ci vuole fatica, dedizione, studio, a volte serve pure fare quello che non ci piace, pure fare quel cosiddetto sacrificio che poi sacrificio non è e che consiste nel non adagiarsi mai, nel non credersi mai arrivati. Nel sentirsi sempre allievi, desiderosi di non scendere alla stazione in cui pensavamo di arrivare ma di proseguire verso la stazione successiva per vedere cos’altro potremmo scoprire.
Questo serve per imparare a fare le cose bene e non “a meglio a meglio”. Spingersi oltre, toccare l’ignoto, aspettare sempre la stazione successiva.
I sogni, le aspirazioni, le cose che vorremmo conoscere e che ancora non sappiamo ci aspettano se siamo capaci di maturarle, se sappiamo vederle. Resistono. Restano salde anche dopo le burrasche della vita, e ci aspettano anche nelle faccende quotidiane. Sono nel nostro lavoro e nel nostro modo di comportarci nel mondo e con gli altri. Sono nelle nostre scelte, nelle rinunce, nei percorsi che abbiamo cambiato.

Sono tutti campi di prova per allenarci a riconoscere e ad accogliere le nostre aspirazioni, quell’ultimo gradino della scala che in realtà non è l’ultimo ma è la possibilità di fare il balzo successivo proprio quando pensiamo di aver imparato tutto ciò che ci serve.

Il sogno – o chiamatela “visione” se preferite – è quello che possiamo ancora raggiungere. Quando saremo arrivati a quel gradino, lo potremo gustare come le cose buone che arrivano dopo aver faticato e che valgono tanto quando le assaporiamo.
Potremo gustarlo come una buona pizza.


Apro il mio taccuino e prendo appunti sul progetto “Da 99 a cento”

Da 99 a cento è un progetto di ricerca ideato e diretto da Giuseppe (Jepis) Rivello e Vincenzo Moretti. L’obiettivo è: Ripensare il lavoro e l’impresa a partire dalle relazioni tra maestro e allievo, teoria e pratica, mano e tecnologia, uomo e macchina.

Per questo progetto di ricerca Vincenzo sta imparando a fare la pizza guidato dagli insegnamenti del maestro pizzaiolo Michele Croccia.
Giuseppe Rivello ha realizzato un percorso in video che racconta gli obiettivi della ricerca. Vi consiglio di vederlo perché è uno splendido viaggio nel saper fare e nel saper essere.
Si parla di Teoria e di come essa sia molto legata alla Pratica.
Nel progetto si parla tanto anche del rapporto tra Maestro e Allievo.

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Vincenzo impara a prendere la pizza con la pala: foto tratta da qui

Cito un post pubblicato su Facebook dalla mia collega Rosanna qualche settimana fa perché ha molto a che vedere con l’idea di potersi sempre migliorare.
“Una volta una persona a me cara mi ha detto che gli errori più grandi spesso si commettono per troppa sicurezza di se stessi.
Mi raccontava che quando faceva canottaggio non si era mai capovolta la sua canoa, tranne una volta, quando era ormai esperto, troppo sicuro di sé, sicuro di non sbagliare, proprio allora gli si è ribaltata.”

Le certezze non ci permettono di spingerci oltre. Più ne accumuliamo, più arretriamo, o ci areniamo. Il dubbio invece alimenta la nostra ricerca e ci permette di migliorarci e sperimentare. Ci permette di sentirci sempre allievi e dunque pieni di un potenziale ancora inesplorato.

“Il tesoro è alla fine dell’arcobaleno” (Niccolò Fabi)

“Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi ti insegneranno le cose che nessun maestro ti dirà.” (San Bernardo da Chiaravalle)

“Quello che diciamo lo dobbiamo mettere in pratica altrimenti non funziona” (Michele Croccia)

La teoria ti permette di fare progressi, ma devi fare tanta pratica se vuoi raggiungere dei risultati. “Se applichi bene la teoria riesci a creare anche qualcosa di diverso e puoi elaborare la tua teoria guida”.

Per Michele Croccia la pietra miliare è stata sua nonna, che gli ha insegnato i segreti della pizza e gli ha trasmesso amore e cura per le materie prime.
“C’è bisogno di sapere altro per fare bene il tuo mestiere”, ha detto Michele.

Insegnare a Vincenzo a fare la pizza è stato per Michele un incontro di esperienze, perché ciascuno ha messo sul tavolo da lavoro la propria vita e la propria professione, e quella vita si fonde all’esperienza dell’altro.
Il prodotto che ne vien fuori è diverso dai precedenti realizzati singolarmente o con chi fa lo stesso mestiere. E probabilmente è la coscienza di non sapere ancora abbastanza a farci fare il passo in più, a farci trovare la consapevolezza è l’umiltà di essere in continua formazione.

Qual è il gesto di chi comincia qualcosa? Rimboccarsi le maniche.
Mentre Vincenzo impara a fare la pizza, una mano resta libera mentre l’altra assembla con armonia gli elementi.
C’è progressione e dolcezza nel gesto di impastare, la mano deve essere sciolta e non tesa. 

Nella dolcezza e nella maestria del gesto c’è anche il segreto dell’approccio alla materia prima. Fare bene il proprio mestiere vuol dire capire che c’è bisogno di fare anche altro: di sapere o vedere altre cose per fare meglio il tuo e allargare la prospettiva. Coltivare il proprio bagaglio culturale significa aprire la mente e far sì che il tuo modo di adoperare le mani possa essere trasmesso anche a qualcun altro. Quel qualcuno a sua volta ti potrà insegnare qualcosa che tu non sai.

Secondo Michele Croccia per essere un bravo pizzaiolo bisogna partire da 5 elementi essenziali: 1) forno, 2) impasto, 3) maestria, 4) ricerca degli ingredienti, 5) racconto.

Michele dedica molto tempo alla ricerca degli ingredienti del territorio: per lui ciò che si porta a tavola va raccontato con criterio e serietà e deve essere un prodotto onesto. Non puoi dire di aver portato a tavola una cosa e poi in realtà servirne un’altra.
L’onesta in questo mestiere è un punto cardine che rientra in un credo e in un modo di fare le cose che sta alla base di tutto.

La maglia glutinica di cui Michele parla a Vincenzo ricorda la maglia di lana della nonna, a dimostrazione che ogni mestiere si collega agli altri e che da una cosa ben fatta può nascere un modello da seguire o un ricordo da tenere stretto.
Io so bene quanto contino gli insegnamenti dei nonni per capire, imparare, ricordare, ripensare!
Mia nonna torna spesso nelle mie parole quando di fronte a una situazione capisco qualcosa in più: in quei casi i suoi modi di dire tornano a galla come se lei fosse accanto a me a pronunciarli e mi aiutano a vedere da nuove prospettive.
Come se la nonna fosse una maestra che mi resta sempre accanto.


La Felicità di imparare

Per Michele Croccia il mestiere del pizzaiolo consiste nel farsi interprete di un pensiero, di una linea guida. Qualità, serietà, verità sono i punti saldi da cui partire, e tocca ribadirlo perché in molti ambiti non sempre il concetto di verità viene rispettato.

Quello che Vincenzo porta con sé di questa esperienza a #Cip è il rapporto tra teoria e pratica.
La sua felicità in questo caso consiste nello scoprire che potrà imparare a fare la pizza: non tanto per farla in casa, ma perché un giorno quando sarà abbastanza bravo e potrà far assaggiare ai suoi amici una pizza ben fatta.
Non penso che Vincenzo voglia cambiare mestiere, ma vuole imparare quante più cose possibili. Anche per tutti noi vale lo stesso: possiamo allargare la nostra mente e il nostro saper fare anche a cose che mai avremmo immaginato di riuscire a fare.

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la felicità negli occhi di Vincenzo: foto tratta da qui

Per fare la pizza in maniera professionale, come per imparare qualsiasi altra cosa, serve il tempo per far maturare teoria e pratica e metterle insieme.
Il lavoro è lavoro sempre! E questo vale per qualsiasi cosa tu faccia e qualsiasi professione tu svolga. Non esistono lavori di serie A o di serie B.
“Più scrivi, più passi ore a correggere ogni parola, più quella pagina che hai scritto viene bene. E questo vale per ogni cosa: l’esercitazione pratica è importante quindi anche per la pizza.” – ha detto Vincenzo.

Questo progetto di ricerca potrebbe allora aiutarci a rompere la categorizzazione lavori umili vs lavori nobili perché il lavoro è sempre lavoro e il suo valore dipende da come lo fai e non dal titolo che porti o dalla posizione che ricopri.
L’esempio fatto da Vincenzo è quello di una signora che pulisce i bagni pubblici.
Dopo che la signora li ha puliti, lascia un cartello con su scritto “Trattatelo bene perché questo è il mio posto di lavoro e ci tengo molto”.

L’eccellenza dà qualità a qualsiasi lavoro e l’approccio che hai nel tuo lavoro è fondamentale: questo è un primo punto di ricerca che Vincenzo sta trovando anche nell’arte di fare la pizza.


Maestro-Allievo, Tao, multiverso 

Vincenzo pensa al nostro percorso di vita come a una scalinata con 100 gradini.
Dal 1° al 99° ogni volta che sali un gradino ti allontani dalla condizione di allievo e procedi verso la condizione di maestro.
Ma pure quando ti trovi al 47°, se non hai la capacità di essere sempre allievo, ti fermi là e non progredisci e non migliori. “Quelli che a un certo punto si fermano, lo fanno perché non hanno più la capacità di sentirsi allievi.”

Se ti senti solo maestro ritorni a 0, cioè torni indietro al punto di partenza e devi ricominciare daccapo. Si tratta di avere una specie di equilibrio mentale: il tuo movimento è costante e non puoi fermarti pensando di non essere più allievo.
Puoi anche diventare il massimo luminare o il massimo esperto nel tuo mestiere, ma pure se ti dessero il premio Nobel il giorno dopo devi chiederti: in quella materia per la quale sono stato premiato, che altro di nuovo posso imparare oggi?

“Quando arrivi al 99° gradino, se vuoi progredire fino al 100° devi perdere la connessione col tuo essere maestro”.
Devi cioè acquisire una certa distanza tra il tuo essere maestro e il tuo essere persona. Quella distanza ti porta a ripensare il percorso che hai fatto perché ogni singolo scalino su cui hai posato i piedi per arrivare a 99 è stato necessario.
Solo capendo questo puoi migliorarti!
Secondo il Tao tutto è in movimento, quindi se 100 è il massimo non puoi far altro che scendere o salire. Non puoi cioè restare fermo dove sei.
Stando al Tao quindi, l’uomo saggio si lascia sempre uno spazio tra 99° e 100° scalino. Per Vincenzo quello è lo spazio della Possibilità: lo spazio delle cose che per ora non capisci e non sai fare ma che forse un giorno potrai capire e fare, se ti impegni abbastanza.

Tu non lo sai quante cose puoi fare ancora, però il pensiero che ci possano essere tante cose da imparare ti dà una possibilità su tutto.
Vincenzo parla delle perdite personali per fare un paragone sulle infinite possibilità che abbiamo.
Se non hai la fortuna di credere in qualcosa dopo la vita terrena, ti senti disperato quando perdi qualcuno che ami perché pensi che non potrai vedere più quella persona. Eppure se pensiamo alla teoria degli universi possibili, in questo istante noi possiamo essere contemporaneamente in un altro universo con le persone che abbiamo amato e che non ci sono più. E magari insieme a loro stiamo cucinando delle pizze.
Questa idea di possibilità ci apre la mente! Non solo nei momenti di forte dolore ma anche sulla percezione delle nostre possibilità.

I grandi sociologi del passato che lavorarono in fabbrica, sulla catena, capirono che non sempre chi ha i gradi comanda davvero.

Vincenzo prova a ripetere, in forma diversa, la stessa esperienza di quei sociologi che lavorarono per anni nelle fabbriche. Ciò che prima per Vincenzo era teoria adesso sta diventando pratica ed è la pratica che fornisce gli strumenti per fare teoria.
Se il maestro sa fare un passo indietro rispetto alla cosa che crea, dà autonomia e dignità a quello che fa.
Un po’ come Mastro Geppetto quando crea Pinocchio: solo che in questo caso la fata turchina è il lavoro ben fatto.

 

Mi sono seduta sui miei gradini

Quando parlava di chi di solito impartisce compiti, mia nonna ripeteva spesso la frase “se vuoi comandare, devi saperlo fare”.
Il concetto di base è: se vuoi che qualcuno faccia le cose al posto tuo o vuoi dirgli come le deve fare, devi saperlo fare tu stesso per primo. Dunque devi essere prima di tutto allievo e poi puoi diventare maestro.
E questo è il messaggio che il progetto di Vincenzo, Michele e Giuseppe mi ha donato.
Loro tre per me sono stati maestri: leggendo i testi e guardando i video ho preso appunti, ho cercato di andare oltre la visione che avevo prima, ho pensato a me stessa sulla scala di 100 gradini.

Quando penso al mio percorso di gradini, penso subito alla sensazione che provai di fronte all’Altare della Patria a Roma. Mi sentivo piccola di fronte alla grandiosità di quelle gradinate. Smarrimento, agorafobia, paura, tremore alle gambe mi pervasero. Quella volta arrivai in cima, ma scoppiai a piangere. Non per emozione, ma per paura. Volevo scappare e scivolare giù più velocemente possibile!

Mi sono seduta molto spesso sui gradini della mia vita, non sentendomi né allieva né tantomeno maestra. A volte l’ho fatto per pigrizia, e perché mi costa tanto stare ferma a leggere, ad ascoltare, a guardare. Neanche da bambina riuscivo a stare ferma a studiare: ora quel moto che ho sempre avuto dentro lo soffoco imponendomi di fare cose.
Penso sempre di dover agire, essere in prima persona quella che mette le mani in pasta. Eppure ho paura di farlo, cedo il passo a chi di fatto è più bravo.
Lo smarrimento è lì: nel voler apprendere ma avere la testa altrove, e nel voler fare ma sentire di avere mani inesperte.
Per molto tempo, e per varie ragioni, mi sono sentita arenata. Non tanto nella certezza di sapere o di essere arrivata a un punto di soddisfazione, ma nella certezza di non essere più capace di apprendere e immagazzinare nozioni. Ho immagazzinato per tanto tempo svogliatamente così tante nozioni che di quelle lezioni e nozioni ora in mano non mi resta che un pugno di mosche.

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Photo by Jelleke Vanooteghem on Unsplash

Forse non ho avuto i maestri o le opportunità giuste, forse io non ero brava a vedere quelle opportunità. La mia curiosità veniva spesso sovrastata dalla paura.
Adesso sono nella fase allieva in perenne formazione e provo ad esserlo attivamente.
Ma quella piccola allieva che resta seduta sui gradini con addosso la cartella pesante è ancora parte di me: si sente ancora sovrastata e impotente rispetto alla grandiosità del proprio contorno e di quell’ambiente che sembra schiacciarla.

Forse per essere allievi bisogna sentirsi anche protagonisti e cambiare punto di vista sulla propria vita, e forse per essere bravi maestri bisogna anche fare un passo indietro rispetto al ruolo principale.
Magari inconsciamente io aspetto che arrivi il maestro della vita, che mi prenda per mano e mi faccia alzare dal gradino su cui mi sono seduta.

Dall’arte della pizza di Michele Croccia ho capito che la cottura è fondamentale più della qualità dell’impasto. Che la stesura è la parte delicata e difficile, anche se può sembrare facile. Ho imparato che i fattori da considerare per ottenere la giusta temperatura dell’impasto sono tre: 1) Ambiente, 2) Farina, 3) Impastatrice.
Ho imparato che la temperatura giusta per l’impasto della pizza deve essere di 24 gradi.
E poi ho imparato, con una formula matematica spiegata da Michele Croccia, qual è la temperatura ideale dell’acqua affinché la temperatura dell’impasto arrivi a 24°.
La formula vi consiglio di scoprirla guardando i video.

Ma tutte queste cose sono teorie legate all’esperienza di un maestro che si racconta e che fornisce strumenti e tecnica. Nelle mani giuste questi accorgimenti diventano materiali preziosi, porti da mani altrettanto preziose e sapienti.
Maestro e Allievo: un gioco a due. Sì, bisogna essere in due (o più). Se sei un bravo maestro ma l’allievo non ti ascolta, il meccanismo di apprendimento e crescita non ingrana. Se sei un bravo allievo ma hai un maestro incapace di trasferirti insegnamenti, anche in quel caso il risultato non arriverà.
Un po’ quello che accade con forno e impasto. Se hai un buon impasto ma non sei bravo nella cottura, la pizza sarà una schifezza.
Dalla teoria alla pratica, di mezzo c’è la mano che impasta e il nostro voler imparare, il nostro approccio propositivo, il nostro alzarci in piedi sul gradino e mettere il passo sul gradino successivo. Ci sono le mani in acqua e sale, c’è la voglia di dimenticare per un attimo le cose che diamo per certe e rimboccarci di nuovo le maniche per perdere l’equilibrio.
Sembra una corsa, o una danza. Per un attimo devi perdere l’equilibrio per passare al gesto successivo.
Sarà per questo che ho sempre preferito la marcia alla corsa? 🙂

“Quando faccio la pizza quello è il mio lavoro e potrei farlo anche ad occhi chiusi, quindi in quel momento penso solo alla pizza. Con questo esperimento invece riesco ad andare al di là della pizza, riesco a pensare a quel che da solo non sarei riuscito a pensare.” (Michele Croccia).
Per me il vero maestro è questo. Il maestro che dona e sa, mentre impartisce i suoi insegnamenti, che sta anche ricevendo insegnamenti dal proprio allievo.

Il percorso, l’importanza di ogni singolo scalino ti permette di migliorare anche quando da anni sei abituato a ricoprire il ruolo di maestro. Perché essere maestro non vuol dire avere una stelletta sulla giacca che ti identifica, e i pochissimi maestri migliori che ho avuto sono stati difatti quelli che non si credevano migliori dei propri allievi.

“Il senso del rapporto tra maestro e allievo è questo: anche se l’allievo sta al primo gradino, è in grado di insegnare qualcosa al maestro se il maestro è un bravo maestro.” (Vincenzo Moretti)

Ogni quanto si verifica l’alchimia perfetta dell’allievo che diventa bravo in quel che fa e apprende al massimo gli insegnamenti del maestro? Ogni quanti allievi c’è quello che ha la scintilla e coglie il senso vero di quel che gli viene insegnato?
“1 persona ogni 7 anni” dice Michele.

La quantità varia e non conta poi tanto in fin dei conti.
La bellezza e il lavoro ben fatto forse non apparterranno mai alle masse ma questo a noi non deve importare e non deve essere un deterrente in quello che facciamo o raccontiamo.
Ma allora vale la pena raccontare tutto questo? Certo che ne vale la pena!
Vincenzo, Michele e Jepis mi hanno insegnato che vale sempre la pena fare bene le cose, studiare, sentirsi allievi, capire che rapporto c’è tra teoria e pratica, capire il senso di tutto quello che facciamo e di quanto ancora è nelle nostre possibilità.

Ogni quanto si verifica quell’alchimia perfetta? Vale la pena cercarla?
Sapete che c’è: io non me lo chiedo più se ne vale la pena.
Per me tutto questo ha valore sempre. A prescindere da quanti capiranno il senso del proprio essere allievi e del proprio essere maestri.

I risultati del nostro lavoro, dell’impegno, del sudore e di quel che siamo emergeranno comunque a fine cottura. Quando osserveremo ciò che abbiamo fatto e dovremo cogliere dopo aver seminato, capiremo davvero come abbiamo seminato e se il nostro impasto e il nostro forno hanno fatto il loro dovere.

Un consiglio pratico?
Se questa idea ci piace, non può essere vera solo a parole. E allora cominciamo da oggi, da domani o dalla prossima settimana a imparare quello che non sappiamo. Scegliamo i nostri maestri e lasciamo che ci trasferiscano il loro sapere e saper fare.

 

Il progetto “Da 99 a cento”

Leggi il post di Vincenzo Moretti
Leggi il post di Giuseppe Jepis Rivello
Leggi il post di Michele Croccia

Chi ha imparato abbastanza, non ha imparato niente

Laura Ressa

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Copertina: Photo by Patrick Fore on Unsplash (con una mia modifica)

P.S.: forse non ci crederete, ma ho impiegato un pomeriggio e una serata per scegliere la foto da inserire come copertina.
Alla foto di base ho aggiunto dei gradini e una freccia disegnati a mano libera con Paint. Poi ho aggiunto la frase “dal 99° al centesimo”: mi sembrava di fare un torto a Vincenzo, Jepis e Michele copiando il titolo originale del loro progetto con una nuova veste grafica. Così ecco qui la mia rilettura e interpretazione personale, che trae ispirazione da loro ma che non osa ripetere le loro stesse parole.
Spero di aver fatto bene.

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L’immagine di base è tratta da Unsplash. I gradini, la freccia e la scritta li ho aggiunti io

Scritto da:

Laura Ressa

Classe 1986 🌻 Digital Marketing Specialist & Web Writer 🌻 Frasivolanti